07 Ott 2008 |
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Intervista a Giancarlo SignoriniIntervista di Pietro Caruso a Giancarlo Signorini, da cui è stato tratto l'articolo Torna “Fuga dalla libertà”, Rivive l'analisi del libro di Erich Fromm in un incontro, pubblicato sul Corriere Romagna di domenica 12 ottobre 2008 FORLI. Giancarlo Signorini, psicoanalista e responsabile della sezione “Teorie e tecniche della psicoanalisi” nell'associazione G.M.Balzarini, presieduta da Gianni Tadolini, illustra alcuni dei temi che caratterizzeranno la serata convegno dedicata ad Erich Fromm il prossimo 11 novembre in città. 1. Cosa c'è ancora di attuale in Erich Fromm? Credo si farebbe prima a rispondere alla domanda contraria, ossia cosa c'è di non attuale in E. Fromm, perché i temi presenti nei suoi libri, nei suoi discorsi, nei suoi articoli pare abbiano il dono dell'eterna giovinezza. Per fare un esempio nel 1941 Fromm scrive Fuga dalla libertà, una lucida ed accurata analisi del percorso che l'uomo ha fatto, a partire dalla sua nascita come essere culturale fino ai tempi attuali: percorso caratterizzato da una costante lotta per la conquista della libertà, lotta che però vede spesso la libertà soccombere sotto gli attacchi della paura, il peggiore nemico dell'uomo. La libertà frommiana è caratterizzata da indipendenza, autonomia, autoaffermazione, autorealizzazione. Se pensiamo a quanto questa libertà sia lontana dall'uomo di oggi, così attaccato al potere e al possesso, ebbene questo libro potrebbe essere scritto oggi. E così è per tanti altri suoi saggi: Psicoanalisi dell'amore, L'arte di amare, Avere o essere. 2. Libertà senza regole o stato regolatore dell'individuo? La libertà senza regole sarebbe la libertà del più forte, lo stato regolatore dell'individuo sarebbe uno stato totalitario. Fromm dice chiaramente che lo stato, l'organizzazione statale, deve avere come fine l'uomo e non se stessa: dunque deve essere finalizzata alla piena espressione, emancipazione, realizzazione della persona umana. Oggi solo formalmente ciò avviene e, di fatto, stiamo assistendo al contrario. La libertà dell'individuo è stata soppiantata dalla libertà delle organizzazioni, dei gruppi. Il mondo contemporaneo è rigidamente e burocraticamente sempre più un mondo amministrato dalle associazioni, dalle amministrazioni, dalle burocrazie manageriali che gestiscono la libertà in termini di potere-su-qualcosa o potere-su-qualcuno. Il singolo individuo non esiste più. J. Habermas ha visto giusto quando afferma che oggi esiste una indebita intrusione dei meccanismi sistemici (il System è il mondo della produzione e della organizzazione) nel mondo della vita (la Lebenswelt, o mondo della vita, è il mondo dei nostri pensieri, delle nostre valutazioni, è il mondo del senso). Questa intrusione si manifesta come eccesso di razionalizzazione nel mondo della vita: ma quest'ultimo, in quanto mondo spontaneo, della creatività e della realizzazione non può che essere danneggiato, snaturato da ciò. Fromm lo aveva già preannunciato quando parlava di necrofilia a proposito della eccessiva tecnicizzazione, informatizzazione, robotizzazione della società: morte emotiva, morte dei sentimenti, dei vissuti, insomma morte della umanità dell'uomo. Siamo pronti ad estasiarci per un nuovo dispositivo tecnologico mentre la notizia della morte di decine o centinaia di naufraghi che tentano disperatamente di raggiungere le nostre coste ci lascia indifferenti… Il valore della persona umana, l'importanza dell'"essere", del sentire, del condividere, la dignità della sofferenza umana, sembrano non interessarci più. Regole e libertà sono entrambe indispensabili, ma devono armonizzarsi per confluire in un percorso di crescita dell'Uomo. 3. Nella società della globalizzazione c'è ancora spazio per l'idea di una società amorosa? Non solo c'è spazio ma deve esserci un realizzarsi di questa idea; anzi l'amore è il prerequisito fondamentale per un buon funzionamento di una società globalizzata, multietnica, multiculturale. Io credo che Fromm direbbe che non c'è alternativa: o noi impariamo ad amare il prossimo o non c'è futuro. Può sembrare un luogo comune, una sorta di retorica religiosa, ma non è così: o impariamo a considerare e a « sentire » il diverso da noi, l'altro da noi come una risorsa, una opportunità, o sarà il fallimento. La difficoltà maggiore, probabilmente, sta nella nostra tendenza (probabilmente fisiologica) ad etichettare, a distinguere, a confrontare, a misurare. Lo facciamo con tutto quello che ci circonda, cose o persone non fa differenza. Quando « ascoltiamo » chi ci è vicino noi abbiamo la tendenza - quasi automatica - ad utilizzare l'ascolto critico, che è la tendenza a cercare errori, difetti, differenze, insomma a distanziarci dagli altri. Ma esiste l'ascolto critico come esiste l'ascolto empatico: se l'ascolto critico cerca carenze, l'ascolto empatico cerca risorse, potenzialità, opportunità, stimoli, insomma comporta la valorizzazione dell'altro. Se fossimo educati sin da piccoli all'ascolto empatico, la globalizzazione avverrebbe senza problemi. L'ascolto empatico è il primo gradino nella direzione di una società amorosa. 4. La comunità e il destino di ciascun individuo come possono legarsi in un disegno di speranza e non disperato? E' una questione pedagogica ed educativa. La speranza non è illusione come molti sono portati a credere ma è un motore potente che spinge a vivere con più fiducia e mobilitando maggiori risorse. Quando si dice di un malato grave: « ha gettato la spugna » significa che non ha più speranze, il futuro non dipende più da lui, o, meglio, non c'è più futuro per lui. Quando un paziente arriva da me disperato, tormentato, la prima operazione che faccio è quella di lavorare per alleviare il tormento, sgravandolo ad esempio da fardelli di colpa, autoaccuse ecc.; la seconda è quella di mettere in moto le risorse disponibili, mobilitando le speranze di un miglioramento. Se il paziente « sente » che io credo in lui qualcosa prima o poi si muoverà in senso positivo, ed un miglioramento, magari piccolo ma significativo può prodursi… Lo stesso discorso vale per una comunità: se la comunità coi suoi valori e le sue risorse riesce a trasmettere valorizzazione, fiducia, speranza (in un futuro migliore ad esempio) allora c'è un futuro. Ma se non trasmette la speranza allora trasmette la disperazione e questa è una sensazione di non futuro. Non c'è alternativa. Fromm sosteneva che in una società malata in cui la normalità è l'alienazione da sé quelli che vengono definiti sani sono in realtà i malati (gli alienati) mentre quelli che soffrono di una qualche psicopatologia sono in realtà persone vitali che non riescono ad adattarsi ad una normalità patologica. E per questo soffrono. Circa la violenza, l'aggressività distruttiva che sembra uno dei mali peggiori di questo mondo, Fromm parla chiaro: distrugge chi non può creare. E crea solo chi coltiva una speranza. Un kamikaze che si fa saltare in aria uccidendo se stesso e altri "nemici" è devoto ad un ideale di eroismo distruttivo e la sua unica arma è il potere distruttivo: si sente qualcuno in quanto distrugge il nemico e se per questo deve sacrificare se stesso lui lo fa. Non ha speranze. Capacità di crescere, di evolversi, di avere fiducia, di amare sono tutte inscindibili e si sposano tutte con la speranza. La speranza in una umanizzazione dell'Uomo. Non ci sono alternative.
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Commenti (2)
Luca Capizzani said:
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